domenica 30 maggio 2010

troppi, troppissimi carboidatri

In penuria di novità da scrivere e ispirata da un commento, ho deciso di scrivere come vedo la vita qui.
Quando penso alla mia storia, non mi viene in mente di certo il classico sogno americano. Insomma, io sono partita dall’Italia impiegata di uno studio notarile (ho capito che la gente ti paga quando fai qualcosa che sai fare, io avendo vissuto tutta la vita fra i notai et similia, sapevo fare quello) e negli Usa faccio ancora l’impiegata, anche se di altra natura. Non sono un dirigente (e nemmeno lo diventerò) né proprietaria di un ristorante o un’azienda, non mi sono arricchita in poco tempo perché sapevo fare qualcosa meglio degli altri, anzi, sono stata più che fortunata a trovare l’impiego che ho.
Ecco, io credo di non aver mai nascosto che mi trovo decisamente negli Usa che in Italia, non solo per la mia storia personale, ma perché qui ho trovato delle cose che in Italia sono inesistenti; la cortesia ad esempio. Qui, ovunque e in ogni luogo sono tutti estremamente gentili, davvero raramente ho trovato una persona scortese. Alcune volte la gentilezza americana, la facciata per così dire di perbenismo forzato mi irritava, ma sono arrivata alla conclusione che un sorriso fa piacere a chiunque, e che una parola gentile, un grazie e un You’re welcome davvero possono cambiare la giornata. Nei locali i camerieri sono sempre e ovunque squisiti (il cibo un po’ meno forse…)sarà anche per il fatto che spesso vivono esclusivamente di mance, negli uffici e in qualunque servizio vi possa venire in mente si è sempre ricevuti con cortesia, simpatia e gentilezza e in genere non si riceve mai un no come risposta. Negli hotel poi non ne parliamo. Nei supermercati c’è un ragazzo che ti imbusta la spesa e te la porta pure in auto, e ammetto che pare una sciocchezza ma vi assicuro che è piacevolissimo (soprattutto se vivi sola…) Ammetto che il mart è una nota dolente per altri versi: il cibo, eccetto la carne texana, fa schifo, punto. A parte l’enormità dell’amore degli americani per le salsine varie (che io detesto) e i piatti pronti surgelati pronti da sbattere nel microonde (idem come sopra), il pesce che esiste solo già pulito in filetti (che ammettiamolo, è pure comodo, ma io son sempre un po’ malfidente, da buona pavese), qualunque qualità di frutta o verdura sa davvero di niente, o di plastica in genere. Per avere specialità da gourmet, bisogna attrezzarsi e raggiungere negozietti minuscoli dai prezzi spesso elevatissimi, e io dopo il lavoro non ho nessunissima voglia di farlo. Preferisco fare un giro per enormi stores pieni di vestiti scarpe e qualunque altra cosa vi possa venire in mente. Ammetto che i mega pacchi mensili che la mia devota madre mi invia dall’Italia aiutano parecchio questa scelta… Cmq anche in questo non mi è arrivato nulla di distrutto, infranto o distrutto, e nemmeno un pacco in quattro anni ormai è andato perso.
Io poi adoro il mio lavoro, e anche il mio posto di lavoro. In Italia ho sempre lavorato e senza aver mai avuto un problema legato all’argomento, ma qui ho trovato una marcia in più: la flessibilità. Io non ho orario, in pratica sono del tutto autogestita. E non è coda da poco. Non è così dappertutto, anzi, e lo so bene. Eppure se mi facessero rispettare alcuni orari adesso che sono così abituata a regolarmi da sola, andrei in crisi totale. In genere comunque, da quello che ho potuto vedere, gli americani pranzano alle 11 (si si!) e cenano alle 17.30, massimo 18. Per me è follia. Ma ammetto che è bello finire di lavorare spesso alle 16 e avere ancora così tanto tempo davanti. La paga inoltre è qualcosa di meraviglioso. Certo, è proporzionata al costo della vita, ma io mi sento sempre così benestante... (anche se in realtà non lo sono di certo!)
Certo, gli americani sono un po’ squadrati su molte cose, vedi parcheggi ad esempio ma possiamo dire regole civiche in genere, ma vi assicuro che è piacevole in fin dei conti. Le strade son sempre pulite, il verde curato e ordinato (eccetto il mio povero prato, ok), i bambini ovunque sono sicuri, protetti, e se vedeste il livello delle scuole vi sentireste male al confronto con quelle italiane!
Qui inoltre ho trovato davvero un bellissimo senso della famiglia, e quando dico questo intendo dello stare insieme, del tempo condiviso fra genitori e figli, della preparazione delle feste, di come si vivano i momenti di gioia, per non parlare poi del patriottismo, inculcato fin da quando si è neonati. Voi potete dire quello che volete, ma a me questi valori piacciono, e non poco.
Ovvio che ci sono tanti rovesci della medaglia, ci sono i tornado, ci sono i quartieri in cui è meglio non andare, c’è del razzismo, (sebbene io abbia tanti colleghi di colore e non l’abbia mai visto), ci sono situazioni di povertà estrema, ci sarebbe un discorso molto molto esteso da fare riguardo alla politica, c’è una criminalità che spesso mi spaventa, ma credo che non si possa dire che in Italia questi problemi non esistano.
Rimangono sempre I peccati di Peyton Place…

giovedì 27 maggio 2010

Water

...mi commuove ancora... il miei pezzi di cielo serale tagliati dai cavi dell'elettricita'... perche' non riesco a vivere solo di questo?... e ancora scavo e scavo nell'immensita' di cio' che si prova in questa sorta di abbandono e nella pochezza che si riesce a scambiarsi... un triangolo arancio di nuvole fra i cavi, forse sento qualcosa di piu', ma questo e' il massimo che riesco a dire, oggi.

martedì 25 maggio 2010

Silenzio Stampa

Mi è arrivata ora una mail in cui si degna di dirmi che si prende del tempo per pensare e vedere che fare. Carino. Per fortuna oggi avevo tanto lavoro per cui non ho ancora pranzato: ormai la fame mi è passata del tutto...

lunedì 24 maggio 2010

Aggiornamenti dell'ultima ora

Abbiamo deciso via mail (che romanticone, eh?!) di mangiare da me, come solito ormai. Pizza ai pepperoni, very american. Se avete voglia di metter su 5 chili in un botto e farvi venire mal di stomaco più livelli paurosi di colesterolo, ecco, mangiatela pure. Comunque dopo cena, dopo qualche birra messicana gelata, dopo tanti, ma taaanti, sguardi, di quelli che mi fanno sciogliere e far ricordare che Dio, in qualche modo, esiste, non so dove ho trovato le palle e gli e l’ho detto.
“Io ti devo parlare.”
“E scommetto che è un po’ ci pensi…”
Allora si vedeva. Cristo.
Ho attaccato il mio bel discorsetto preparato, imparato, non l’ho guardato negli occhi per tener duro, stoica, sono andata avanti, dicendo di cosa ho bisogno, dell’impegno che voglio da lui, della continuità, del farsi sentire, del vedersi, di approntare una relazione seria insomma. Lui non ha proferito parola per tutto il mio discorso. Alla fine lo guardo, e lui mi dice “Ne prendo atto. Vedrò cosa posso fare, ma ti avevo già detto che al momento più di così non riesco.”
“Ma a me così, evidentemente, non va bene!”
“Eileen… per cui se non riesco a darti quello che chiedi…”
Oddio. Alla fine ha incastrato lui me! Non sono riuscita a finire la frase.
Ci siamo messi sul mio solito amatissimo divano, a guardare la tv, in religioso silenzio.
Io a disagio, lui a disagio.
In pratica dopo mezz’ora se n’è andato, lasciandomi con i sensi colpa per aver trasformato una bella serata in una serata di merda, con un suo ne prendo atto per consolazione.
Io con gli uomini, di sicuro, sbaglio qualcosa.

mercoledì 19 maggio 2010

Coffee, please!

"Che tu sia per me il coltello con cui frugo nella mia anima."

Lettera di Kafka alla sua amata Milena

martedì 18 maggio 2010

Piccoli Sogni

Non vi ho più aggiornato sull’Uomo dei silenzi perché non c’è molto da aggiornare. In pratica non è successo nulla. Io volevo parlargli in questo week end, con la mie migliori intenzioni, ma non sono riuscita, come mio solito.
Uff.

lunedì 17 maggio 2010

Torta morbida pere e mandorle

Ingredienti:

4 pere morbide
110 grammi di mandorle
110 grammi di zucchero a velo preferibilmente vanigliato
110 grammi di zucchero semolato bianco
100 grammi di farina doppio zero
150 grammi di burro
4 albumi
1 pizzico di sale fino
vanillina a piacere

Sbucciare le pere e farne 3 a pezzetti piccoli, una a fettine.
Tritare le mandorle in un mixer riducendole a farina. Mischiarle con gli zuccheri, la farina bianca e il burro fuso. unire i pezzetti di pera. Montare a neve gli albumi con un pizzico di sale fino. unire al composto.
Imburrare una tortiera (26 cm diametro) e versarvi il composto. mettere in bella disposizione le fettine di pera in superfice.
Infornare per 10 minuti a 200 gradi, poi per un'oretta circa a 150 gradi.
PS: non aspettatevi una torta da colazione o da sformare, è un dolce morbido da mangiare al cucchiaio dopo pasto o la sera davanti alla tele (come ho fatto io!), e per cui vi consiglio di usare una teglia rotonda in cui potete anche servirlo, quelle di ceramica o pirex sono ideali.
E...buon appetito!

sabato 15 maggio 2010

Ho fatto una torta morbida pere e farina di mandorle da urlo!

In questi giorni in cui sono stata davvero poco bene, per ragioni purtroppo ancora legate agli strascichi della mia malattia, ho ovviamente continuato ad andare al lavoro, ma per il resto ho vissuto da reclusa, nascondendomi nel mio comodissimo divano, io e i miei libri, e questo auto isolamento l’ho usato per pensare. Devo ammettere che l’ho molto ingrandito, questo mio malessere; però mi piaceva tanto avere del tempo per me da vivere in casa, fra mura sicure. Sono un animale da cattività, a volte. Cmq sul mio divano ho deciso di pensare seriamente qualcosa di utile (!!!). Volevo sbrogliare la matassa che mi attanaglia in questi giorni. Dovevo sceglierne uno dei due e chiudere con l’altro. Come scegliere? Per prima cosa ho pensato di fare una lista di pro e contro di ciascuno. Ma poi mi son resa conto che non posso fare una scelta includendo una persona che manda segnali ambigui e non riesce a chiarire un rapporto a due (non sono io!). Allora ho deciso che prima dovevo chiarire con l’Uomo dei silenzi. Dovevo dirgli cosa volevo da lui e che se non fosse stato disposto a darmelo … mah. In fondo, ho pensato, cosa voglio io da lui?? Allora mi son resa conto che il pensiero va allargato, la visione deve essere più ampia, e la domanda corretta è : cosa voglio io, in generale, io per me stessa, dalla mia vita. E quello ho scritto.
 Voglio continuare a vivere a Dallas; qui sto bene, qui c’è la mia casa
 Voglio continuare a lavorare alla Ewing Oil, è un po’ come essere in una famiglia allargata
 Voglio una relazione monogama con un essere pensate del sesso opposto al mio soddisfacente, cioè voglio un rapporto paritario con uomo a cui manco quando non sono con lui, con cui cenare insieme, guardare la televisione, dormire abbracciati o vicini, andare in vacanza insieme e cose similari, ma mantenendo comunque la mia indipendenza economica, sociale e soprattutto abitativa
 Non mi interessa sposarmi
 Non credo di volere mai dei figli, i bambini non mi piacciono granché.

E per ora lo ritengo sufficiente.

Ora, siccome non ho scritto in questo breve elenco “andare a vivere a New York”, è ovvio che devo parlare con Spencer. Ma più urgente di questo, devo parlare con l’Uomo dei silenzi e definire il nostro rapporto, in un modo o…nell’altro.
Stasera.

mercoledì 12 maggio 2010

Spending my time


"Questo gesto dove si era nascosto,
questo abbraccio rotondo?
Scuro e morbido, come la notte d'estate,
in cui le stelle pulsano tutte...
Chi mi ha lasciato in eredità questo ponte sensibile,
che dalla solitudine mi conduce a te?
Un suo pilastro è il mio palmo,
l'altro pilastro è la tua mano".
(Amy Károlyi)

martedì 11 maggio 2010

Break

Scusate, sto trascurando tutto per motivi di salute: niente di grave ma non sto molto bene in questi giorni. A risentirci presto!
Kiss!

venerdì 7 maggio 2010

Mettendo in ordine scritti sul portatile...

...ho ritrovato quelli che chiamo "gli scritti danesi"...a leggerli il dolore è perfetto come allora...

In questo momento sono in volo per la Danimarca... e sono sola… ho scelto la Danimarca perché non la conosco e potrei trovarmi assolutamente spaesata e a disagio... l'ho scelta per questo. scendo in questo momento dall'aereo… ho viaggiato vicino all'oblò' e l'ho tenuto sempre chiuso.. per dimenticare che acqua, monti, cielo e colori saranno le briciole per ritornare a casa... non ho più una casa... non ho più nulla e sono all'aeroporto di Copenhagen... appena l'ho visto ho pensato “e' così che immaginavo l'aeroporto di Copenhagen”... e la disillusione mi ha invaso... a ricordarmi che l'immaginazione arriva sempre prima di noi in ogni aeroporto a rovinarci il presente... a riportarci nel centro di noi stessi dove tutto e' già stato vissuto per non sentirci perduti... e se mi aspettavo di perdermi sbagliavo... perche' proprio all'uscita su una parete fra delle scritte c'e' il mio nome con la data di oggi... scritto con un pennarello nero e di traverso... ci sono le mie otto lettere e la mia grafia in stampatello... sono già stata qui e se mi guardo intorno ci sono le tedesche e le danesi... perfettamente composte e pulite anche con questo caldo... anche dopo ore di volo... anche se hanno fumato, bevuto, anche senza trucco… e ci sono io con la mia imperfezione... con i capelli sconvolti e i pantaloni sgualciti... le mie occhiaie sono il sonno che mi nego e il sogno ad occhi aperti che m'impongo... dicono che siamo anche la nostra storia... altri che siamo solo il nostro presente… io sono solo il mio futuro già vissuto nella tendina di un aereo e torno a casa con il primo volo... rigorosamente ad occhi aperti e in silenzio... non posso dire a nessuno dove sono stata e cosa ho scoperto… dire e' un po' abbandonarsi e anche pretendere... io sto zitta e suddivido i pensieri in quelli buoni e cattivi.. i cattivi poi diventano quelli buoni un minuto dopo e non mi resterà che appallottolarli e ricominciare da capo... un altro volo e sarà l'abitacolo di una macchina... saranno i suoi gesti che lentamente reclamano gli anni… lui e' del partito della storia e la storia gli ricorda che ha diritto di toccare il mio polso e il mio viso imbronciato... ogni carezza e' un conato... perché gli voglio bene… perché non amo più Lei ma te... perché l'incompiutezza delle parole non mi aiuta a liberarmi dal mio peso e posso solo mentire e tacere un “devo stare sola” o “devo andare in Danimarca e tornare in silenzio”... “devo smetterla di pensare che se non sono il meglio non sono niente”... “devo smetterla di credere all'esistenza del meglio”... sto zitta… sono del partito del futuro e non dimentico che fra poco questa macchina diventerà un prato d'erba nuova... ci saranno i soli e gli 'astri e i laghi e i cani senza guinzaglio e le frittelle di alghe e le gonne lunghe coi piedi nudi sulla terra umida e il mio sorriso che oggi non c'e' e non ci sono garanzie che domani esploderà colorato sull'acqua scura... di notte.
il punto e' che non c'e' nulla al di fuori di quello che vedo e ho gli occhi stanchi...



Sono seduta nella mia camera, davanti alla grande finestra che dà sulla città. E’ notte. E’ una notte chiara, limpida, il cielo è di un blu profondo e in lontananza, sopra i tetti della città vecchia posso scorgere la luna, chiara e distante. C’è solo qualche piccola nuvola grigia che rovina il contesto.
Il grigio è il colore che più si lega a Copenhagen nella mia mente. Quando penso alla mio periodo di auto segregazione qui non riesco ad associarlo ad altro che al grigio. È il cielo; non è il grigio piombo che mi aspettavo, bensì un colore più tenue, perlato quasi, certi giorni più velato e pallido, altri più biancastro, come la neve sporca che si vede ai margini delle strade. E poi ci sono i colori lontani dei tramonti nordici, quegli arancioni sconvolgenti, quei rossi forti, che corrono veloci verso i viola e a volte persino la macchia bianca, fastidiosa, del sole. Ma non c’è azzurro a Copenhagen. Nemmeno nel mare. Speravo nei colori del mare, mi aspettavo che fosse limpido e chiaro, come le acque del mediterraneo, stupidamente credo. Ora so che anche il mare è grigio.
L’azzurro mi manca molto. Non credevo si potesse stare così male per l’assenza di luce. Mio fratello mi aveva avvertito. “Diventerai triste” mi disse, quando gli comunicai la mia decisione di venire a stare qui. Ma io pensavo che non mi importava un fico secco della luce, che potevo benissimo accendere una, dieci, persino mille lampadine che giravano con la meravigliosa energia pulita e rinnovabile danese, e che così mi sarei sentita meglio. Pensavo che la Danimarca fosse il paradiso in terra, il mio paradiso. Pensavo fosse il posto ideale per pensare. Solo questo volevo, allora. Pensare. Ora mi struggo di malinconia. Dovevi aspettartelo, mi ripeto. Eppure non passa. Eppure vorrei il sole. Vorrei una mattina di giugno in Italia, per le vie del centro di un piccolo borgo, fatte di ciottoli, le case di sassi e ai bordi delle strade vorrei i papaveri rossi, le spighe del grano selvatico, e magari in fondo alla strada vorrei una bottega di un fruttivendolo che vende pomodori maturati al sole, pesche e albicocche mature, e mordendole immagino il loro succo che mi cola lungo il mento e miei occhi socchiusi per il piacere.
A Copenhagen non c’è nulla di questo. C’è il grigio, c’è il vento, gelido. E c’è la notte. Questa notte.
Penso. Ora non mi fa più male la testa come a New York. Ora vivo in Europa. Ora non ho altro da fare che pensare. Quello che volevo. Eppure il mio pensiero più frequente, ora che sono qui, è tornare a casa.
Tornare da dove sono venuta. Fare i bagagli in silenzio, lasciare le chiavi nella cassetta delle lettere del padrone di casa, e tornare. Non posso. Detesto il solo pensiero di tutti quelli che mi direbbero “Te l’avevo detto!” E poi mi ripeto che ora la mia casa, volente o nolente, è Copenhagen.

..e mi tolgo il bracciale.. quello con tanti fili d'argento.. quello che forse non e' nemmeno argento.. che l'ho comprato sulla bancarella a Milano.. che a te nemmeno ti conoscevo.. e te l'ho lasciato a casa sul comodino tutte le volte.. e com'e' strano vederlo qui.. .su questo libro sgualcito.. a ricordarmi da dove vengo e dove non voglio andare... e se ci fosse un posto dove le cose stessero al loro posto... la cipolla nella padella... la polvere sul televisore.. il dentifricio sull'orlo del lavandino... le coccinelle sulle foglie... le posate nel lavello... le molliche di pane sulla tovaglia... l'ombrello per terra fuori la porta... i calzini sotto le lenzuola... i bracciali e gli anelli sui comodini... ci sarebbe un senso a questo qualcosa di questa sera, che gira e rigira nell'aria gelata e non c'e' pace...
mi perseguita, l'immagine di me in una t-shirt bianca... innocente e pura, e Andrea che mi distrugge ignorando le mie lacrime, rimpicciolendo la dignita' del dolore. Non l'ho mai scordato e ormai sono passati ormai anni..
gli ho detto di riflettere in tutto questo tempo in cui non vorro' sentirlo… perche' la volonta' me la impongo come una dieta, come le analisi del sangue, come il funerale di un parente... ho la pelle troppo delicata e non conto piu' i solchi e non sorrido piu' con le labbra un po' tremanti, come quando credevo agli angoli delle strade e dei muri alla loro portata di stupendo stupore. c'era passione in ogni nervo,ed io esplodevo genuinamente.


E' bella vero?
E invece sei fredda, nera, con lo sgurdo lontano.
Casa mia è mille volte più bella.
Torno là.

giovedì 6 maggio 2010

Go on Eileen

Sono le sei di mattina e sono sul blog, questo mi fa molto riflettere sulla condizione della mia vita, adesso come adesso...
Cmq, credo l'abbiate visto, mi piace alzarmi presto. Lo facevo anche a casa, a Pavia, causa forse il metabolismo, l'abitudine non so, ma adoro il cielo a quest'ora, anche prima, e il silenzio, i profumi nell'aria.
Mia sorella mi ha scritto che ieri c'era il diluvio universale e la temperatura è scesa tanto, tanto che lei in casa ha acceso il riscaldamento. Qui ieri verso l'una siamo arrivati a 33°... Praticamente è già estate, e ho una voglia folle di infradito (con cui ovviamente non posso andare in ufficio) e di relax. Ma è lunga alle ferie, per tutti credo.
Cmq...
Good Morning!

martedì 4 maggio 2010

Azz, detesto il caffè americano...

si può prendere una settimana o due di ferie dalla propria testa?!?!
Ari-azz! Devo lavorare!!

lunedì 3 maggio 2010

Vorrei tanto il tiramisù di mia madre...


Seguendo il commento di Daria, che mi ha indicato la possibilità che fra i due contentdenti il terzo goda, ecco se il terzo fosse lui...sarei tanto felice!! :))
(La foto me l'ha mandata mia sorella, che in pratica ha visto questo bel tipo in una sorta di poliziesco e si è innamorata...come darle torto??)

domenica 2 maggio 2010

La febbre del sabato sera

Nonostante ieri sera fossi a cena con l'uomo dei silenzi, una cena mooolto impegnativa, in cui davvero ho cercato di dire tutto, ero preoccupata per Spen.
Molto.
E alla fine l'ho chiamato. Quando ho sentito la sua voce che mi diceva che stava bene, che era a casa e stava bene, ecco, allora mi son sentita bene anche io.
E ho deciso di riflettere su quel mio particolare stato d'animo.

Cmq ho provato a parlare con l'uomo dei silenzi. ho provato a fargli capire le mie esigenze, a spiegargli di cosa avevo bisogno, che cosa avrei voluto, seppur restando morbida, calma, senza accenti o senza metterlo all'angolo. Ma forse avrei dovuto.
La conclusione è stata, io più di così non riesco. non ora.
In pratica se ti va bene ok, altrimenti arrangiati.
uh come sono contenta.
Si è pure scocciato, visto che alle undici mi ha scaricato a casa e mi ha detto che no aveva più voglia di parlare, e se l'è filata via.
Ho passato tre ore seduta sul divano, a mangiare gelato al cioccolato sciolto, con ancora il vestito della serata a piedi nudi, al telefono con Spen...

sabato 1 maggio 2010

lily of the valley

sarebbe il mughetto, un fiore stupendo e profumatissimo, che mi ricorda più di ogni altra cosa al mondo mio nonno, la persona credo, che ho amato di più in tutta la mia vita. Il mio adorato nonno Giulio era una persona dolcissima, eppure terribilmente sfacciata, che non taceva mai nulla di quello che pensava,e lo diceva diretto in faccia a chi lo doveva dire e questo lo rendeva antipatico a mooolte persone. Ma era un uomo incredibile, con una vita dura alle spalle, eppure sempre con il sorriso a illuminargli il viso.
Lui mi ha insegnato, fra tante altre cose, che il mughetto si regala il 1° maggio in segno di buon augurio. Cresceva nel suo orto e nel suo giardino davanti a casa, e mi diceva sempre che il mughetto è un fiore semplice e umile, tiene il capo chino e ha dei fiorellini bianchi piccoli, non sgargianti o appariscenti. Eppure ha un profumo incredibile. Mi diceva che è il fiore della Madonna.Lo raccoglievamo insieme il primo maggio e andavamo a portarne un mazzolino con mia sorella alle mie zie, al cimitero, e poi a una cappelletta di campagna dedicata alla Madonna.
E con gli occhi umidi odoro forte il mughetto che ho in cucina, che compro ogni anno il primo maggio. Purtroppo qui nessuno me lo regala, e francamente non so nemmeno se sia poi davvero un'usanza diffusa in Italia o fosse solo della mia famiglia, ma faccio i sempre i salti mortali per averlo anche in Texas.

Ciao nonno. Ti voglio bene. Tanto.