martedì 8 dicembre 2009

Ricordi

Oggi mettendo a posto un pò di roba nel notebook ho trovato un vecchio scritto (e un sacco di foto della mia casetta che ho fatto appena ci sono entrata, che prometto vi posterò) risalente a quando vivevo a Copenhagen. In questi giorni a causa del summit mondiale in Danimarca, Copenhagen è sempre in tv, e arivedere le strade e le piazze, i posti dove ho vissuto tempo fa mi ha fatto dolorosamente ricordare quel periodo. Il fatto è che a Copenhagen io non stavo bene: non per il posto in sè, che è davvero molto molto carino, ma per me era un brutto periodo, e mi sentivo molto sola. In più l'assenza di luce dei paesi nordici non mi ha aiutato per niente. Ho deciso di condividere con voi quel momento.

Sono seduta nella mia camera, davanti alla grande finestra che dà sulla città. E’ notte. E’ una notte chiara, limpida, il cielo è di un blu profondo e in lontananza, sopra i tetti della città vecchia posso scorgere la luna, chiara e distante. C’è solo qualche piccola nuvola grigia che rovina il contesto.
Il grigio è il colore che più si lega a Copenhagen nella mia mente. Quando penso alla mio periodo di auto segregazione qui non riesco ad associarlo ad altro che al grigio. È il cielo; non è il grigio piombo che mi aspettavo, bensì un colore più tenue, perlato quasi, certi giorni più velato e pallido, altri più biancastro, come la neve sporca che si vede ai margini delle strade. E poi ci sono i colori lontani dei tramonti nordici, quegli arancioni sconvolgenti, quei rossi forti, che corrono veloci verso i viola e a volte persino la macchia bianca, fastidiosa, del sole. Ma non c’è azzurro a Copenhagen. Nemmeno nel mare. Speravo nei colori del mare, mi aspettavo che fosse limpido e chiaro, come le acque del mediterraneo, stupidamente credo. Ora so che anche il mare è grigio.
L’azzurro mi manca molto. Non credevo si potesse stare così male per l’assenza di luce. Mio fratello mi aveva avvertito. “Diventerai triste” mi disse, quando gli comunicai la mia decisione di venire a stare qui. Ma io pensavo che non mi importava un fico secco della luce, che potevo benissimo accendere una, dieci, persino mille lampadine che giravano con la meravigliosa energia pulita e rinnovabile danese, e che così mi sarei sentita meglio. Pensavo che la Danimarca fosse il paradiso in terra, il mio paradiso. Pensavo fosse il posto ideale per pensare. Solo questo volevo, allora. Pensare. Ora mi struggo di malinconia. Dovevi aspettartelo, mi ripeto. Eppure non passa. Eppure vorrei il sole. Vorrei una mattina di giugno in Italia, per le vie del centro di un piccolo borgo, fatte di ciottoli, le case di sassi e ai bordi delle strade vorrei i papaveri rossi, le spighe del grano selvatico, e magari in fondo alla strada vorrei una bottega di un fruttivendolo che vende pomodori maturati al sole, pesche e albicocche mature, e mordendole immagino il loro succo che mi cola lungo il mento e miei occhi socchiusi per il piacere.
A Copenhagen non c’è nulla di questo. C’è il grigio, c’è il vento, gelido. E c’è la notte. Questa notte.
Penso. Ora non mi fa più male la testa come in America. Ora vivo in Europa. Ora non ho altro da fare che pensare. Quello che volevo. Eppure il mio pensiero più frequente, ora che sono qui, è tornare a casa.
Tornare da dove sono venuta. Fare i bagagli in silenzio, lasciare le chiavi nella cassetta delle lettere del padrone di casa, e tornare. Non posso. Detesto il solo pensiero di tutti quelli che mi direbbero “Te l’avevo detto!” E poi mi ripeto che ora la mia casa, volente o nolente, è Copenhagen.


PS: stasera chiamerò Spencere per comunicargli che ho deciso di passare in Natale e il Capodanno a New York...il fatto è che devo dire anche ai miei genitori che nemmeno quest'anno tornerò in Italia... dopo 3 anni interi in cui non torno, non saranno per nulla felici della mia decisione...

Nessun commento:

Posta un commento